QUANTO CONTA LA VOLONTÀ DI CHI È ANZIANO?

Il caso
Nei primi mesi della vedovanza, all’età di 76 anni, la paziente fu colpita da ictus emorragico. Dopo un periodo di ricovero e successiva riabilitazione fu riportata nella sua abitazione. Attuale emiplegia e deficit deambulatorio tale che il movimento è letto-poltrona. Sindrome depressiva trattata con antidepressivi ed ansiolitici a dosaggio pieno. La paziente è cosciente, senza deficit cognitivi di rilievo, capace di intendere e di volere. Da circa un mese non si vuole alimentare, ritenendo di voler morire. Il medico di famiglia la supporta con una moderata idratazione (1000 ml/die Fisiologica + glucosata 5%), che la paziente accetta; visto il progressivo calo ponderale il medico di famiglia propone la ospedalizzazione per un supporto nutrizionale completo per via parenterale. L’ambiente dove si svolge il caso è il domicilio della paziente che è assistita amorevolmente da una donna vicina di casa, definibile come badante “di famiglia”. Ha tre figli fuori sede -una figlia di professione professoressa, tendenzialmente rigida, che accetta di buon grado la soluzione del medico di famiglia, un figlio poliziotto e una figlia commissario di P.S., sposata con Questore, che vorrebbe evitare alla madre qualsiasi procedura lesiva della dignità. I familiari sono disorientati tra la volontà della madre e la prescrizione del medico che vuole ospedalizzare la paziente per un supporto nutrizionale parenterale completo

I quesiti
E’ eticamente appropriato somministrare la nutrizione artificiale a una donna di 82 anni, vedova, colpita da ictus cinque anni fa che “non si vuole alimentare, ritenendo di voler morire”?

Il parere
Dalla presentazione del caso emerge che la paziente, che viene descritta “cosciente, senza deficit cognitivi di rilievo, capace di intendere e di volere”, ha espresso “da circa un mese” una chiara volontà di non alimentarsi e di lasciarsi morire, consentendo solo di ricevere “una moderata idratazione”. Il medico di famiglia, visto il progressivo calo ponderale, “propone” l’ospedalizzazione per un supporto nutrizionale completo e questo suggerimento disorienta la famiglia, composta da tre figli che non sembrano d’accordo sul da farsi, vista anche la contraria volontà espressa dalla madre. Ragionando su questi pochi, ma essenziali elementi il problema posto all’attenzione del CEF appare di facile soluzione, visto il rifiuto del trattamento proposto, espresso consapevolmente dall’interessata che è un soggetto cosciente e capace di intendere e di volere. Non si può procedere ad alcuna terapia, anche nutrizionale, senza il consenso dell’interessata che può decidere liberamente e consapevolmente di lasciarsi morire. Il dissenso espresso nel caso di specie dalla paziente deve, quindi, essere rispettato perché espressione del fondamentale principio etico e giuridico di autodeterminazione rispetto alle cure che ha trovato riconoscimento anche nell’ultimo codice di deontologia medica del 2006, oltre che la nostra Costituzione (artt. 13 e 32). Il parere dei figli non appare rilevante, né sul piano etico, né su quello giuridico, perché impropriamente chiamati in causa in difetto di qualsiasi elemento che possa attribuire loro un generico potere di intervenire. I figli, infatti, non possono decidere al posto della madre che appare capace di gestire la propria salute secondo i propri intendimenti, non estemporanei, ma tenuti fermi per un mese circa. D’altra parte, ragionando in astratto, in presenza di un soggetto non in grado di decidere per qualsiasi motivo, occorrerebbe attivare il procedimento previsto dalla legge per la nomina di un decisore sostitutivo che, comunque, sarebbe tenuto a rispettare la precedente volontà espressa dall’interessata quando ancora in grado di decidere. Le considerazioni che precedono rimangono ferme anche nell’ipotesi in cui si volesse ritenere, in contrasto con le migliori evidenze scientifiche, che la nutrizione artificiale non è un trattamento sanitario, ma solo un mezzo di sostentamento vitale. Non si può, infatti, costringere qualcuno a vivere contro la propria volontà, imponendo un trattamento che, comunque, invade il suo corpo, salvo ritenere impropriamente che vivere è un dovere e non un diritto e che si possa impunemente procedere in via coattiva ad una alimentazione artificiale per ottemperare a principi superiori di carattere assoluto, tali da sovrastare la volontà del diretto interessato.