La sospensione di cure in un paziente affetto da SLA

 Il caso:

E. è una donna di 75 anni, ricoverata presso una RSA dai primi di febbraio del 2022, con una diagnosi di SLA che risale al 2019.

La sua storia clinica, specie negli ultimi anni, è stata particolarmente travagliata. E. era stata ricoverata in ospedale, nel reparto di Neurologia, una prima volta nel dicembre del 2019; già in quell’occasione, i curanti avevano riscontrato che E. non aveva redatto disposizioni anticipate di trattamento.

Nel mese di luglio 2020, a seguito di una tromboembolia polmonare massiva bilaterale e di un connesso arresto cardiocircolatorio, E. è stata rianimata, sottoposta a trombolisi, intubata e ventilata invasivamente. La paziente viene sottoposta a tracheostomia d’urgenza, anche se, da colloqui successivi con la paziente e la sua famiglia, i curanti hanno ricostruito una volontà pregressa della paziente che avrebbe inteso rifiutare una tracheostomia, anche se poi, data la situazione determinatasi, la paziente l’ha, alla fine, accettata.

Nel mese di agosto 2020 E. era stata trasferita in altra struttura, per favorire l’adattamento al ventilatore posizionato. Durante la degenza in questa struttura, E. riceve una prima valutazione da parte di un medico palliativista. Al momento, non era ancora insorta disfagia. Le viene proposto il posizionamento di una PEG, che però la paziente rifiuta, anche se i proponenti il caso riferiscono che “ E. si mostra disponibile a rivalutare in seguito la proposta”.

A fine settembre 2020 E. torna a casa, su richiesta dei familiari, anche se si trova in condizioni di totale dipendenza dalla ventilazione meccanica invasiva. A domicilio il marito è il caregiver primario, con supporto del figlio e di una badante. Viene attivata ADI con accessi infermieristici e del fisioterapista oltre a SAD per supporto all’igiene. La paziente è seguita, inoltre, da palliativisti, con accessi a cadenza mensile o bimestrale, anche modulati in base alle necessità.

Durante il periodo trascorso a casa si è determinato un progressivo peggioramento dal punto di vista neurologico (deficit stenico progressivo ai 4 arti), ma non anche dal punto di vista della deglutizione, almeno in un primo momento. Quado, tuttavia, il peggioramento deglutitorio si verifica, la paziente, durante diversi colloqui, ha più volte ribadito il rifiuto di posizionare una PEG. In un paio di occasioni, inoltre, i proponenti riferiscono che sarebbe emerso una sorta di “pentimento” di E. rispetto alla decisione che ha riguardato la tracheostomia, ma mai E. avrebbe espresso la volontà di sospendere la ventilazione meccanica.

Agli inizi di febbraio del 2022, i curanti hanno riscontrato una condizione di burn-out nel caregiver, si sono verificati diversi avvicendamenti nel personale di supporto per la cura di E; inoltre, le relazioni all’interno del nucleo familiare sono divenute conflittuali e, oltretutto, vi è stata una progressiva deflessione del tono dell’umore della paziente. In ragione di questo complesso quadro, E. viene ricoverata in RSA. Al momento del ricovero, la paziente risulta dipendente nelle ADL con autonomia parziale residua solo per l’alimentazione. Fin dall’ingresso in struttura, il tono dell’umore di E. è molto deflesso. La paziente manifesta la difficoltà ad accettare la nuova situazione di ricovero. Contestualmente, peggiorano sia l’autonomia nell’alimentazione (per deficit della forza negli arti superiori), sia la deglutizione.

La paziente è ora allettata, portatrice di tracheostomia e ventilazione invasiva in continuo con supporto di ossigenoterapia. È tetraplegica, con scarso controllo del capo ed è capace di minimi movimenti residui afinalistici degli arti superiori. È affetta da disfagia severa, con impossibilità ad assumere un corretto apporto calorico mediante alimentazione orale; è supportata con idratazione per via endovenosa attraverso accesso venoso centrale (PICC). Attualmente, in considerazione dell’elevato distress esistenziale, la paziente ha accettato una sedazione superficiale, con infusione di morfina 10 mg e midazolam 15 mg nelle 24 ore.

L’evento critico che suscita problema

Durante il periodo di ricovero in RSA si sono verificati due episodi di tentativi di autorimozione della cannula tracheale. Nelle due occasioni il personale sanitario è intervenuto allertato dall’allarme del ventilatore. La paziente, in presenza dei medici e dei familiari, in un primo momento ha negato il gesto, (i proponenti lo qualificano come “un agito autolesionistico”), ma in un secondo momento ha ammesso l’accaduto con la psicologa. 

Dai colloqui successivi con la psicologa, la psichiatra, i medici della struttura ed i medici palliativisti, è emersa, oltre alla stanchezza di vivere, anche l’intenzione di E. di provare, nuovamente, a porre in atto azioni volte a porre fine alla propria vita.

Alla paziente è stato spiegato che cosa comporta la rimozione della tracheostomia e l’interruzione della ventilazione meccanica, ovvero il decesso. I proponenti riferiscono che la paziente avrebbe compreso. 

Dai colloqui effettuati coi familiari (marito e figlio), presenti quotidianamente in visita presso la struttura, è emersa la loro piena consapevolezza della gravità ed irreversibilità della situazione clinica e la piena consapevolezza del distress esistenziale della congiunta. Marito e figlio, in ragione delle difficoltà nella gestione domiciliare di E., che ha una situazione clinica, psicologica ed emotiva molto complessa, vorrebbero mantenerla ricoverata presso la struttura residenziale, nonostante E., più volte, abbia chiesto di poter rientrare a casa. I proponenti riferiscono che “la famiglia non si esprime in merito ad una eventuale sospensione del trattamento ventilatorio, affidando la gestione all’equipe medica, operante nel best interest della paziente”. 

Dagli incontri avvenuti tra il personale che ha in carico la paziente, sebbene vi sia concordanza in merito alla presenza di elevato distress esistenziale, è emersa titubanza rispetto ad una eventuale sospensione del supporto respiratorio presso la propria struttura, anche a fronte di una chiara e costante richiesta della paziente.

Quesiti posti al Comitato:

  1. É lecito, qualora la paziente manifesti nuovamente, in maniera chiara e costante, l’intenzione di interrompere la ventilazione invasiva, procedere alla sospensione della stessa?
  2. È lecito mantenere supporto ventilatorio meccanico in una paziente in sedazione palliativa profonda?

Il parere del Comitato per l’Etica di Fine vita:

Il caso sottoposto all’attenzione del Comitato denota una situazione umanamente delicata, emotivamente impegnativa e probabilmente caratterizzata da una certa complessità clinica, ma non presenta particolari criticità da un punto di vista etico. È un caso di sospensione di cure, a seguito di rifiuto di trattamento da parte di un soggetto capace, anche se si tratta di una sospensione/rifiuto di trattamento vitale.

Va infatti subito evidenziato che E., nonostante la drammatica condizione in cui versa dal 2019, e pur nell’ingravescenza della propria situazione, è una paziente adulta e pienamente capace. È in grado di comprendere la gravità del proprio stato, e come molte volte sottolineato nella presentazione del caso, è ben consapevole delle conseguenze a cui andrà incontro qualora si confermasse nella volontà di sospensione di un trattamento di sostegno vitale.

Sulla base delle norme deontologiche di tutte le professioni sanitarie, ma anche e soprattutto in ragione dell’art 1 comma 5della legge 219/2017, Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, la richiesta di E. non solo è legittima, ma impegna i sanitari affinché sia accolta e messa in pratica. L’articolo 1 comma 5 è emblematico delle regole, giuridiche ed etiche, da adottare nel caso di E. Infatti, recita che: «ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, […] qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario […]. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, […] il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici. Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. Ferma restando la possibilità per il paziente di modificare la propria volontà, l’accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico».

Va rilevato che, molto opportunamente, l’attivazione di sostegno non solo piscologico, ma anche psichiatrico, è già stata effettuata.

Bisogna però ricordare che una paziente, a tratti compliant, che ad un certo punto del proprio percorso terapeutico o esistenziale, esprima una volontà, sul proprio corpo e riguardo alle scelte che la riguardano, difforme/dissenziente rispetto alle proposte terapeutiche avanzate dall’équipe dei curanti, non diventa, per questo, un soggetto colpito da grave disagio psicologico, o affetto da patologia o squilibrio psichiatrico.

In riferimento al primo quesito, pertanto, si deve dare risposta affermativa: sì, non solo è lecito, ma è un atto doveroso sul piano etico e deontologico, non meno che su quello giuridico, procedere alla sospensione del trattamento, anche salvavita, qualora la paziente manifesti in maniera chiara e costante l’intenzione di interrompere la ventilazione invasiva.

Sempre l’articolo 1, comma 6, della legge n. 219/2017, infatti, prescrive che: «Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale».

Questo non significa mettere in atto un “abbandono terapeutico”, bensì continuare a prendersi cura della paziente, rispettosamente e conformemente alla sua volontà. Proprio su questo punto, bisogna fare riferimento all’articolo 2, comma 1 della legge 219 che prescrive che anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico, i curanti devono adoperarsi per alleviare le sofferenze […] con l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38.

Va poi evidenziato che i curanti, fin dalla prima presa in carico della paziente, avevano riscontrato che E. non aveva redatto direttive anticipate. Avrebbero potuto e dovuto incoraggiare la paziente a redigere delle DAT o, quanto meno, poiché la SLA ha spesso una evoluzione prevedibile, avrebbero potuto mettere in atto una Pianificazione condivisa delle cure, nella quale prevedere, all’insorgere di certe criticità, la sospensione o non attivazione di trattamenti.

Del resto, come non hanno proceduto al posizionamento della PEG, perché, pur essendo un trattamento clinicamente appropriato, è stato costantemente rifiutato dalla paziente, avrebbero dovuto considerare non più giustificato da un consenso libero e informato il supporto di ventilazione meccanica (a seguito di tracheostomia), quando, ad un certo punto, è stato espressamente rifiutato dalla paziente.

Venendo alla seconda domanda posta, se sia lecito mantenere un supporto ventilatorio meccanico in una paziente in sedazione palliativa profonda, bisogna fare alcune precisazioni: se la paziente è contattabile e può esprimere la propria volontà, bisogna per prima cosa capire con lei se sia disposta a mantenere ancora il ventilatore; qualora, come pare dalla descrizione complessiva della situazione sottoposta all’attenzione del Comitato, la volontà sia negativa (= la paziente rifiuta di continuare ad essere assistita nella ventilazione= rifiuto lecito di trattamento), la paziente ha diritto di sospendere il trattamento, anche se questo comporterà, di conseguenza, la sua morte. Se anche si tratta di un trattamento clinicamente appropriato, quello rifiutato (la ventilazione tramite tracheostomia) deve essere considerato, da un punto di vista etico, fuori dalla rosa dei trattamenti erogabili alla paziente.

Altresì, E. ha diritto ad essere curata ed assistita, con tutti gli interventi e i trattamenti dovuti ad una persona giunta alla fine della vita; pertanto, se le condizioni cliniche lo richiedono, anche con una sedazione palliativa profonda.

Ad ogni buon conto, se mantenere o meno la ventilazione meccanica è una decisione, lo ricordiamo, che deve essere presa dalla paziente, prima di essere sedata e una volta messa nelle condizioni di comprendere le conseguenze di un suo eventuale rifiuto.

Pertanto, se la paziente rifiuta la ventilazione, continuare con tale trattamento non è una condotta eticamente (né giuridicamente) lecita, e non diventa una scelta eticamente approvabile solo per il fatto che la paziente venga sedata. Sedarla con un intervento di palliazione profonda, mantenendo però la ventilazione meccanica, significa costringere E. a subire proprio il trattamento che lei stessa ha fortemente rifiutato (si è autorimossa, due volte, la cannula tracheale!), né è giustificabile invocando un (presunto) stato di emergenza/urgenza; pare, al contrario, una modalità di comodo, per alleviare lo stress psicologico e il forte impatto emotivo ed esistenziale che questo caso ha prodotto nei curanti, ma che non ha alcuna giustificazione, clinica ed etica.